Con la sentenza 22414 del 3 novembre 2015, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di una lavoratrice, la quale aveva richiesto l’annullamento del licenziamento intimatole per assenza ingiustificata.
La complessa vicenda – prima sostanziale e poi processuale – decisa dalla Cassazione con la pronuncia in esame ha visto coinvolta una lavoratrice che, a seguito di una prima sentenza con cui era stato dichiarato illegittimo il termine apposto al proprio contratto di lavoro, e disposto il ripristino del rapporto, si era vista recapitare dal datore una missiva con cui veniva invitata a riprendere servizio presso altra – non ben individuata – struttura ove risultavano concrete possibilità di utilizzare la sua prestazione lavorativa; peraltro, la datrice indicava, nella medesima lettera, “in sequenza” quali sarebbero state le “priorità di assegnazione” che avrebbe seguito, e cioè: la medesima provincia, la medesima regione, le regioni limitrofe ovvero altre regioni. A fronte della citata comunicazione, la ricorrente, formulando un’eccezione di inadempimento ex articolo 1460 del codice civile, non era rientrata in servizio, venendo, in seguito, licenziata per assenza ingiustificata.
L’azione giudiziale promossa dalla lavoratrice ai sensi della Legge 28 giugno 2012 n. 92 era stata rigettata sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello di Roma, la quale aveva ritenuto che l’invito rivoltole di riprendere il servizio con la prospettazione dell’eventuale difficoltà al suo reinserimento nello stesso ufficio non potesse costituire un’ipotesi di trasferimento atto a giustificare il rifiuto della dipendente alla ripresa del lavoro, legittimando così la decisione aziendale.
Partendo dall’analisi del contenuto della raccomanda inoltrata dal datore alla lavoratrice, la Cassazione ha ritenuto – difformemente da quanto sostenuto dalla Corte di merito – che la comunicazione datoriale integrasse un vero e proprio trasferimento successivo al ripristino del rapporto, e che lo stesso non fosse motivato e non sorretto da ragioni tecniche, organizzative e produttive. Alla luce di ciò, doveva, pertanto, ritenersi giustificabile – perché rispondente a buona fede ex articolo 1375 del codice civile – il comportamento assunto dalla lavoratrice, a cui non poteva essere contestata alcuna assenza ingiustificata.
Nelle motivazioni della pronuncia in esame, la Cassazione richiama propria precedente giurisprudenza in base alla quale “la ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, in mancanza delle quali è configurabile una condotta datoriale illecita, che giustifica la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore, sia in attuazione di un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’articolo 1460 del codice civile, sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti” (Cass. Sez. Lav. n. 11927 del 16 maggio 2013)
La Corte, infine, ribadisce che: “ove sia contestata la legittimità del trasferimento il datore ha l’onere di allegare e provare in giudizio le fondate ragioni che lo hanno determinato, e, se può integrare o modificare la motivazione eventualmente enunciata nel provvedimento, non può limitarsi a negare la sussistenza dei motivi di legittimità oggetto di allegazione e richiesta probatoria della controparte, ma deve comunque provare le reali ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustificano il provvedimento” (conforme Cass. Sez. Lav. n. 19095 del 9 agosto 2013).
(Corte di Cassazione – Quarta Sezione Lavoro, Sentenza 3 novembre 2015, n. 22414)