SENTENZA

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3259/2018 del Ruolo Generale Civile – Lavoro e Previdenza

TRA

T.L., nato a Livorno il 6.8.1956, rappresentato e difeso per procura in atti dagli Avv.ti Riccardo Chilosi e Antonio Pileggi

APPELLANTE

E

LA SOC., c.f. 04952121004, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per procura in atti dagli Avv.ti L.C., M.F., L.F. e M. T.

APPELLATA

 

OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 3022/2018 del Tribunale di Roma – Sezione Lavoro –

pubblicata il 26.04.2018, non notificata

 

CONCLUSIONI DELL’APPELLANTE:

in riforma della sentenza n.3022/2018 del Tribunale del Lavoro di Roma,

in via principale:

accertare e dichiarare che la retribuzione globale di fatto spettante al dott. T.L., tenuto conto delle previsioni di contratto, della componente variabile e dei fringe benefits riconosciuti, ammontava ad € 24.000,00 mensili.

accertare e dichiarare l’insussistenza di una giusta causa ex art. 2119 c.c., e di alcuna concreta o valida motivazione giustificatrice del licenziamento intimato, peraltro senza motivazioni alternative alla giusta causa, dalla Soc. al dott. T.L. con lettera datata 7 Novembre 2016. Conseguentemente,

condannare la Soc., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore del dott. T.L. dell’indennità di mancato preavviso ex art. 22 CCNL dirigenti industria pari ad € 193.920,00 lorde e all’ indennità supplementare massima (8 mensilità della retribuzione globale di fatto) prevista all’art. 19 del CCNL dirigenti aziende industriali, per € 193.920,00 0 nella diversa misura ritenuta di giustizia.

In via subordinata:

sempre previo eventuale espletamento della prova testimoniale, ritenuta comunque l’insussistenza di una giusta causa, ma ipoteticamente ritenendo sussistente una giustificatezza del recesso,

condannare la soc. La Soc., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore del dott. T.L. dell’indennità di mancato preavviso ex art. 22 CCNL dirigenti industria pari ad € 193.920,00 lorde.

In ogni caso:

condannare la La Soc. in persona del legale rappresentante pro tempore, stante l’ingiuriosità del licenziamento, al danno di immagine, professionale e biologico da quantificarsi complessivamente in non meno di € 130.000,00

condannare la società convenuta al pagamento della rivalutazione monetaria ed interessi legali su tutte le somme di cui sopra, ciascuna dalla maturazione fino all’effettivo soddisfo ed al pagamento, per entrambi i gradi, delle spese, competenze ed onorari di giudizio, oltre spese generali al 12,5% e IVA e CPA e rimborso, sempre per entrambi i gradi, del contributo unificato versato dal ricorrente.

 

CONCLUSIONI DELL’APPELLATA:

a conferma di quanto statuito nella sentenza impugnata e richiamate tutte le difese ed eccezioni formulate in primo grado, accogliere le seguenti conclusioni:

In rito: accertare e dichiarare l’inammissibilità, ai sensi degli artt. 342 e 434 c.p.c., del motivo d’appello (non) formulato da controparte con riguardo alle pretese di natura risarcitoria, per totale assenza di specifiche censure in punto di fatto e di diritto al capo della Sentenza impugnata dedicato alla non debenza di alcun risarcimento del danno a favore dell’appellante, come meglio precisato al par. C. 5, che si intende qui integralmente richiamato.

Nel merito: rigettare tutte le domande formulate nel ricorso in appello, mediante la enunciazione di motivi d’appello infondati in punto di fatto e/o in punto di diritto, per le plurime ragioni addotte ai parr. C.1-C5, che si intendono qui integralmente richiamati.

In ogni caso: con vittoria di spese, diritti ed onorari di procedimento.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso di primo grado, il dott. T.L. agiva al fine di far accertare l’insussistenza della giusta causa ex art. 2119 c.c. e la mancanza di valida giustificazione del licenziamento intimatogli dalla datrice di lavoro La Soc. S.p.a con lettera del 7 novembre 2016, con la condanna della società a corrispondergli l’indennità di mancato preavviso e l’indennità supplementare previste dal CCNL dirigenti industria, nonché a risarcirgli il danno all’immagine professionale e biologico conseguente all’ingiuriosità del licenziamento.

A tal fine il ricorrente allegava, per quanto ancora rileva in questa sede:

di avere iniziato a lavorare nel settore della Information communication technology dal 1980;

di essere diventato dirigente nel 1990, ricoprendo importati incarichi all’interno delle più importanti aziende del settore a livello nazionale e mondiale;

di essere stato assunto per lavorare presso Intersiel/Finsiel, società del gruppo IRI, di essere poi transitato alle dipendenze della STET e successivamente alle dipendenze della EDS, per la quale svolse funzione di Direttore nazionale dei sistemi informatici dedicati alla P.A. dirigendo i più grandi outsourcing della P.A. centrale per Ministeri e Consip;

di essere stato assunto da La Soc. nel gennaio 2008, quale responsabile (Direttore) della Business Line Pubblica Amministrazione Centrale;

di avere assunto nel 2010 la responsabilità del mercato Grandi Clienti La Soc.;

di avere assunto nel 2013 anche la responsabilità della Direzione commerciale di tutti i clienti La Soc. (esclusa la small medium entreprise);

di avere preso in carico dall’aprile del 2014 la Direzione delle attività di ingegneria di progettazione di La Soc.;

di avere sempre raggiunto gli obiettivi assegnatigli e di essere stato sempre apprezzato, in azienda e fuori;

che nel mese di settembre 2016 la controllante inglese La Soc. UK disponeva delle indagini riservate all’esito delle quali sospendeva l’Amministratore delegato e un direttore generale;

che di lì a poco (ottobre) venivano licenziati il Responsabile della fatturazione e il chief financial officer;

che su input della casa madre venivano quindi assunti diversi atti espulsivi, probabilmente ritenendosi che l’intero team dirigenziale fosse portatore di una visione strategica non coincidente con soggetti in posizione apicale da emarginare;

che, suo malgrado e nonostante l’ottimo lavoro svolto per la società, egli restava coinvolto in tale situazione, venendo licenziato sulla base di ragioni tanto gravi da esimere la datrice di lavoro dal versargli le onerose indennità previste dal CCNL per la fine subitanea del rapporto (mancato preavviso e indennità supplementare), conseguenza alla quale egli ascrive le vere ragioni del recesso.

Il T.L. era stato attinto dalle seguenti contestazioni, relative a due distinte vicende, così puntualizzate nella contestazione del 24 ottobre 2016:

  1. a)

(a.i.) nell’ottobre 2014, Lei introduceva e imponeva che la scelta del fornitore per la gara ____, ricadesse sulla GM senza che venisse seguita la procedura di cui alla Policy Fornitori e nonostante fosse a conoscenza dell’inadeguatezza della GM allo svolgimento dei servizi richiesti;

(a.ii) Lei non ha mai informato il suo diretto superiore gerarchico di essere cognato di SC., rappresentante della GM;

(a.iii) Lei imponeva che venissero accordate al fornitore GM delle condizioni di pagamento più favorevoli rispetto agli altri fornitori della Società. In particolare, Lei dava disposizioni affinché i pagamenti dei compensi della GM avvenissero in via anticipata (ossia prima della fornitura dei servizi concordati).

  1. b)

(b.i) tra giugno e luglio del 2014, Lei chiedeva ed otteneva 5.000 Euro in contanti da C.F. quale percentuale personale sul fatturato della LB S.a.s. di B.La & C., agente di La Soc. presso cui C.F. lavorava.

Gli episodi attengono alla scelta del fornitore ed alla successiva gestione del rapporto afferente alla gara per la fornitura dei servizi di connessione al servizio automatizzato del gioco del Lotto, e ad un’asserita ricezione di denaro da un ex dipendente di La Soc.

Il dott. T.L. contestava in modo deciso gli addebiti in una lunga missiva di replica, e successivamente (7 novembre 2016) veniva audito su sua richiesta e tuttavia licenziato lo stesso giorno con lettera in cui la La Soc. così giustificava il recesso:

La gravità dei suddetti fatti è tale da determinare l’irrimediabile lesione del vincolo fiduciario nei Suoi confronti e da impedire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro.

In particolare, alla luce di tutto quanto sopra, la Società ritiene che la Sua condotta costituisca una grave violazione del dovere di diligenza di cui all’art. 2104 c.c., in particolare, sotto il profilo della violazione delle policy, delle procedure e dei codici etici e di comportamento della Società e del Gruppo La Soc..

Pertanto, con la presente, Le comunichiamo la decisione della nostra Società di recedere, con effetto immediato e per giusta causa, dal rapporto di lavoro con Lei intercorrente ai sensi dell’art. 2119 codice civile. …

Impugnato stragiudizialmente il recesso, con il ricorso giurisdizionale il dott. T.L. lamentava:

la tardività della contestazione (atto costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro), in quanto sopravvenuta a distanza di due anni dai fatti contestatigli, non accompagnata dall’esposizione dei motivi di tale ritardo, e comunque la mancanza di riscontro circa il momento di effettiva conoscenza dei fatti;

la genericità degli addebiti;

l’insussistenza dei fatti contestati e la falsità delle relative deduzioni di La Soc.. In particolare, per usare la sintesi del Tribunale, il T.L. afferma che non vi sarebbe prova della propria responsabilità e che egli non aveva neppure i poteri “autoritativi” che sono il presupposto della contestazione, essendosi limitato a formulare proposte e contratti nei confronti dei clienti; e che il suo ruolo, con riferimento a posizioni di fornitori, sarebbe sempre stato defilato. Il T.L. non avrebbe mai sollecitato alcunché nei confronti della GM e la Lottomatica non sarebbe mai rientrata tra i clienti della sua Area; non aveva nemmeno partecipato alla fase procedimentale, né aveva provveduto a sottoscrivere alcun documento relativo ad impegni assunti da La Soc. verso il fornitore GM; men che meno aveva mai agevolato GM nei pagamenti. Il T.L. non aveva neanche mai saputo che SC., peraltro non già suo cognato bensì cugino della moglie e dunque affine in 4° grado, fosse un rappresentante, dipendente o titolare di alcuna funzione o quota della predetta società.

La Soc. spa si costituiva replicando nel merito delle doglianze attoree, eccependone la totale infondatezza sulla base di una serie di elementi circostanziali inerenti alle indagini svolte e ai fatti emersi.

Il Tribunale ha respinto tutte le domande, ritenendo, in estrema sintesi:

la carenza di idonee allegazioni circa il danno lamentato e il difetto di prova dello stesso;

l’infondatezza della pretesa di veder esternate in sede di contestazione disciplinare le ragioni e le fonti di conoscenza dei fatti contestati;

la “relatività” del principio di immediatezza della contestazione, di talché sarebbe stato tempestivo l’attivarsi della società dopo la ricezione di una segnalazione anonima inoltrata con una procedura di Speak Up utilizzata per il whistleblowing, da cui erano partite complesse indagini riservate che apportavano, mediante intervista di dipendenti informati sui fatti, la notizia degli illeciti;

la specificità dell’incolpazione, idonea a rendere edotto il lavoratore della buona sostanza delle accuse mossegli e a consentirgli di difendersi;

la fondatezza nel merito dell’addebito, sulla scorta delle dichiarazioni rilasciate durante l’indagine interna da dipendenti della società (in particolare l’operations director U.C., il responsabile Carrier Management Telco Strategy & Business Development M. P. e il Sales Account Line Manager F.R.) e sulla base del complesso delle risultanze documentali (prevalentemente e-mails) nonché delle allegazioni delle parti.

Con ricorso tempestivamente depositato, il dott. T.L. ha impugnato la sentenza, deducendo in sintesi:

1.- erroneo convincimento del Tribunale sul rispetto del principio di immediatezza della contestazione, ad onta dell’oggettiva distanza (due anni) tra questa e i fatti contestati, riproponendo, sia pure a confutazione della motivazione del Tribunale, i temi già ampiamento diffusi a tale riguardo nel ricorso di primo grado;

2.- erroneo convincimento del Tribunale circa la prova da parte della società della incolpevole tardiva conoscenza dei fatti, deducendo, in particolare: la mancata valutazione del sospetto e contraddittorio comportamento aziendale nell’avviare e condurre l’intera procedura disciplinare; l’erronea utilizzazione come prova della documentazione allegata in atti; l’erroneo rilievo attributo ad indagini conseguenti a denunzia anonima; l’omessa valutazione circa la credibilità del personale coinvolto nelle indagini;

3.- erroneo convincimento circa la specificità degli addebiti;

4.- erroneo convincimento circa la prova, la veridicità e l’idoneità dei fatti contestatigli a supportare il licenziamento per giusta causa, evidenziando in particolare: la mancata prova degli addebiti; lo sbilanciamento dell’onere probatorio a carico del dipendente in presenza di una prova soltanto indiziaria dei fatti contestati; la falsità e inconsistenza giuridica degli addebiti e l’inidoneità degli stessi a integrare la giusta causa di licenziamento; l’erroneità della motivazione in relazione alle rilevanza delle prove; l’inadempimento dell’obbligo di verificare con prove costituende la sussistenza e la credibilità dell’accusa; l’erronea valutazione dei fatti e delle prove; l’omessa valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini del riscontro della giusta causa ex art. 2119 c.c.;

5.- erronea valutazione da parte del Tribunale circa la causa dei danni patiti, riconducibili non già al licenziamento bensì alle sue modalità ed allo strepitus connesso alla rilevanza anche penale degli addebiti.

In subordine, l’appellante ha reiterato la domanda comunque volta al riconoscimento delle predette indennità, a suo dire spettantigli anche in caso di licenziamento giustificato.

La La Soc. si è costituta anche in secondo grado, replicando puntualmente ai motivi di gravame e concludendo per il rigetto dell’appello.

Dopo alcuni rinvii connessi all’emergenza sanitaria e al tentativo di conciliazione e riassegnato il procedimento, è stata svolta istruttoria testimoniale nel marzo 2023 e disposta ctu medico legale; quindi, la causa è stata decisa all’udienza del 7.2.2024 come da separato dispositivo di seguito trascritto.

L’appello è parzialmente fondato.

Va anzitutto rilevato che le prove utilizzate nel disciplinare, e in qualche misura anche nella sentenza impugnata, emergono da un’indagine interna svolta prima dalla struttura investigativa inglese della LA SOC., e poi su delega di quest’ultima dal personale della La Soc. di Milano, fase durante la quale sono stati sentiti taluni dipendenti.

La difesa del dott T.L., premessa un’ampia e articolata contestazione dei fatti oggetto di addebito, ha eccepito l’inutilizzabilità della documentazione raccolta riservatamente dalla LA SOC., sollevando diversi e motivati dubbi sulla trasparenza dell’inchiesta. Di più, il dott. T.L. ha gettato un’ombra sulla determinazione della società, indicando un interesse dalla società a strumentalizzare l’indagine per aggirare l’obbligo di corrispondergli le indennità di fine rapporto dovute in assenza di un giustificato motivo di recesso, non mancando di alludere ad una più ampia manovra della società volta ad espellere i componenti della governance italiana in carica all’epoca dei fatti. Sta di fatto che, a fronte di una puntuale e decisa elevazione a sospetto dell’operato datoriale, la verifica della legittimità della procedura e della fondatezza dei fatti addebitati al dipendente non può ovviamente essere affidata ad atti interni provenienti dalla parte in causa, ragione per cui si è anche ritenuto di dare sfogo ad una prova testimoniale su fatti e circostanze particolarmente significativi. Nondimeno, ritiene la Corte che pure l’esame degli atti interni di indagine dell’appellata, ferma restando la loro sostanziale inidoneità a compendiare il materiale probatorio decisivo, offrono tuttavia prova di notevoli elementi di contraddizione con la stessa tesi accusatoria, e in questo senso è meritevole di attenzione.

 

TEMPESTIVITA’ DELL’ADDEBITO.

I fatti ascritti all’appellante risalirebbero al giugno/luglio 2014 (vicenda C.F.) e all’ottobre dello stesso anno (gara Sed Multitel – ex Lottomatica). Tali fatti sono stati contestati al dott. T.L. con missiva del 24 ottobre 2016.

Viene quindi ascritto al T.L.:

(a.i.) nell’ottobre 2014, Lei introduceva e imponeva che la scelta del fornitore per la gara Sed Multitel (Lottomatica), ricadesse sulla GM senza che venisse seguita la procedura di cui alla Policy Fornitori e nonostante fosse a conoscenza dell’inadeguatezza della GM allo svolgimento dei servizi richiesti;

(a.ii) Lei non ha mai informato il suo diretto superiore gerarchico di essere cognato di SC., rappresentante della GM;

(a.iii) Lei imponeva che venissero accordate al fornitore GM delle condizioni di pagamento più favorevoli rispetto agli altri fornitori della Società. In particolare, Lei dava disposizioni affinché i pagamenti dei compensi della GM avvenissero in via anticipata (ossia prima della fornitura dei servizi concordati).

A dire della La Soc., tali episodi si sarebbero delineati solo nel luglio 2016, ed essa avrebbe avuto notizia degli stessi soltanto circa un mese prima della contestazione al T.L..

A fronte della decisa deduzione di tardività dell’addebito da parte dell’appellante, la società avrebbe dovuto dimostrare, almeno per presunzioni, il tempo in cui ebbe contezza dell’illecito nelle sue connotazioni essenziali (soggetto, condotta, epoca dei fatti), visto che la contestazione giunse circa due anni dopi i fatti addebitati al dott. T.L..

Questo vale a maggior ragione nella fattispecie in esame, se solo si considera che la segnalazione anonima (e-mail del 29.7.2016) dei comportamenti dell’amministratore delegato e dei suoi “sodali” – da cui si sarebbero diramati gli accertamenti – sarebbero stati, secondo lo stesso anonimo, già riportati alla struttura Human Resources, che si era però dimostrata “timorosa” nei confronti del CEO. Struttura della quale, oltretutto, faceva parte anche la senior HR Manager dott.ssa S.C. la quale firmò la lettera di licenziamento del dott. T.L.. Elementi questi che pongono con forza l’ipotesi che in qualche modo la società abbia avuto notizia dei fatti prima dell’asserita segnalazione anonima.

In tutti i casi, la e-mail del whistleblower (oltretutto prodotta in copia e senza altra asseverazione di autenticità e provenienza) non sarebbe da sola idonea a dimostrare che pure i fatti successivamente ascritti al dott T.L. non fossero già stati portati a conoscenza del datore di lavoro, perché manca il riscontro che le indagini riguardanti l’appellante presero effettivamente avvio con la segnalazione del whistleblower.

Tale prova non è emersa, nonostante la società avrebbe potuto dimostrare documentalmente (vista la dimensione dell’impresa e la notevole procedimentalizzazione delle attività più delicate) o con testi (i dipendenti della funzione inglese che iniziarono gli accertamenti) che le indagini presero effettivamente piede dalla e-mail del 29.7.2016, e quindi l’epoca dell’input investigativo e l’oggetto delle indagini richieste alla Linea Ethics, Compliance & Governance.

Il legale interno di La Soc. con mansioni di giuslavorista, la quale coltivò le indagini iniziate dalla funzione inglese, ha dichiarato in dibattimento di non aver mai visto la dichiarazione anonima e di avere saputo di tale atto solo dagli investigatori che le mostrarono i verbali delle dichiarazioni rese dai dipendenti italiani: c’erano dunque dei dipendenti della funzione inglese che avrebbero potuto riferire sull’origine dell’indagine e sulle circostanze emerse subito, che tuttavia non sono stati portati a testimoniare dalla società. L’Avv. C. ha riferito alla Corte di essere stata incaricata soltanto a fine settembre 2016 di svolgere approfondimenti in ordine ad alcune condotte di dipendenti, intervistando il F.R. e il P..

Non emerge neppure in che modo e in che tempi i primi investigatori siano arrivati alle fonti Umberto Corradi e F.R., rispettivamente Direttore Campo Globale Servizi e Sales Account Linea Manager, i quali, stando ai “verbali” prodotti da La Soc., rilasciarono le rispettive interviste il 27 e il 29 settembre 2016 all’investigatore S.H. della Securyt La Soc. (da ricondursi probabilmente, stando alla prospettazione di La Soc., alla Linea Ethics, Compliance & Governance del Gruppo La Soc.). Diverse parti in inglese dei verbali sono cancellate, e le dichiarazioni rilasciate dal F.R. sono già raccolte, distintamente rispetto ad altri “filoni di “indagine”, sotto l’apposto titolo “T.L. Issues”.

Va peraltro considerato che la vicenda che ha interessato il T.L. ha coinciso con un ampio ricambio della dirigenza di La Soc., e non può effettivamente escludersi che l’anonimo denunciante, che si diceva un manager di LA SOC., potesse avere un preciso interesse a indebolire la posizione della dirigenza, magari per trovare maggiore spazio nella società o trarre un altro vantaggio.

Resta dunque insoddisfatto l’onere di La Soc., facilmente percorribile, di dimostrare l’epoca in cui ebbe contezza degli addebiti mossi al dott. T.L.. Non emerge, insomma, la tempestività della contestazione, laddove le garanzie procedimentali dettate dall’art. 7, commi 2 e 3, della l. n. 300 del 1970, in quanto espressione di un principio di generale garanzia fondamentale, a tutela di tutte le ipotesi di licenziamento disciplinare, trovano applicazione anche nell’ipotesi del licenziamento di un dirigente (Cass., sez. lav., 4/1/2024, n. 269).

Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, “in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione, espressione del generale precetto di correttezza e buona fede, si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro (Cass. n. 19115 del 2013; Cass. n. 15649 del 2010; Cass. n. 19424 del 2005; Cass. n. 11100 del 2006) e va inteso in senso relativo, potendo, nei casi concreti, esser compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, in ragione della complessità di accertamento della condotta del dipendente oppure per l’esistenza di una articolata organizzazione aziendale (Cass. n. 15649 del 2010; Cass. n. 22066 del 2007; Cass. n. 19159 del 2006; Cass. n. 6228 del 2004; n. 1562 del 2003; Cass. n. 12141 del 2003).

La Soc. Spa non ha allegato nè comunque dimostrato che il lasso di tempo intercorso tra i fati e la contestazione sia dipeso della complessità di accertamento della condotta del dipendente, nè dalla complessità dell’organizzazione aziendale, tanto è vero che la trasmissione degli adempimenti istruttori dalla funzione inglese a quella italiana fu questione di giorni, non di mesi nè tantomeno di anni.

Da tutto ciò emerge, a disdoro di quanto ritenuto dal Tribunale, un primo vizio del procedimento idoneo a riverberarsi negativamente sulla legittimità della sanzione.

A tale vizio del licenziamento si aggiungono, in via alternativa, i seguenti altri che attengono all’insussistenza dei fatti contestati.

 

L’ILLECITO DISCIPLINARE RELATIVO ALLA GARA SED MULTITEL (EX LOTTOMATICA).

La prima condotta ascritta al dott. T.L., di avere “introdotto” la GM – da ritenersi contestata per l’articolazione di un sistema di allegazioni logicamente incompatibile con la tesi di una “induzione” del fornitore -, non è stata dimostrata, atteso che le prove assunte in dibattimento, le sole validamente utilizzabili, non hanno dato conforto a tale tesi nè può valere quanto al riguardo riferito soltanto de relato dalla teste C. (su cui vedi infra) e non confermato neppure quanto alle esatte modalità della riunione dell’ottobre 2014.

D’altra parte, una specifica prova per testi sul punto non è stata più insistita dall’appellata nelle battute finali (vedi udienza 7.2.2024) e come appena detto non è sufficiente sul punto quanto riferito dall’Avv. C. in quanto riportato de relato dal F.R.. Va peraltro considerato che il dott. T.L. aveva una particolare posizione nell’ambito dell’azienda, anche sul piano commerciale e anche per le scelte strategiche, ed infatti partecipò alla riunione dell’ottobre 2014 con poteri di procuratore per affari di importo economico più cospicuo (vedi dichiarazioni rese dal F.R. nel processo penale richiamato oltre).

Dalle dichiarazioni infra richiamate rese dal F.R. innanzi al giudice penale, emerge in verità che la struttura di supporto alla gara e al contratto era composta di diverse persone, e da una organizzazione alquanto complessa che esclude logicamente il fatto che il dott. T.L. possa avere gestito, in prima persona, direttamente o comunque in modo preponderante, la scelta del contraente e il successivo rapporto contrattuale, restando comunque assente la prova, che era onere del datore di lavoro fornire, di tali circostanze.

Concesso dunque ma non ammesso che il dott. T.L. possa avere interloquito telefonicamente con GM nella riunione dell’ottobre 2014 non emergerebbe per questo alcun illecito, nel fatto in sé e per sé considerato di avere “introdotto” la GM quale fornitore per la gara Sed Multitel (ex Lottomatica), se con tale espressione il datore di lavoro intendeva la presentazione di un possibile contraente. A tale riguardo, andrebbe semmai evidenziato, come riferito anche dalle persone a conoscenza dei fatti che la presenza di GM tra i possibili fornitori non scaturiva ex abrupto in quanto tale società era già conosciuta da La Soc. come fornitrice di servizi, come si avrà modo di precisare meglio oltre. L’ “introduzione” della società sulla scena nella riunione dell’ottobre 2014 ad opera del dott. T.L. si riduce quindi ad un’immagine suggestiva che, anche ammettendone la effettiva verificazione, non possiede la significanza di una violazione della policy aziendale (sotto tale aspetto, peraltro, neppure specificata nella contestazione).

Non è stata poi raggiunta la prova idonea che la GM sia stata addirittura “imposta” dall’appellante, non emergendo dagli atti né l’esercizio in tal senso di un’autorità giuridica o di fatto né l’imposizione di una particolare forza da parte del dott. T.L., anche perché non vi fu alcuna forma di “opposizione” a tale scelta da parte della società che richiedesse per l’appunto l’esercizio di una forza contraria. Del resto, è pacifico che LA SOC. osservasse procedure ferree sia per quanto riguarda le gare e le scelte dei fornitori (con diversi passaggi di garanzia), sia sulle tempistiche dei pagamenti, rimessi agli uffici tesoreria e non certo attribuibili ai responsabili commerciali, come testualmente sintetizza la stessa sentenza appellata. A conferma di ciò, osserva la Corte che, escusso in dibattimento, L.M., ex dipendente di La Soc. in pensione dal 1.7.2022, ha riferito che la procedura prevedeva che le strutture commerciali potessero solo proporre l’acquirente ma che poi erano le altre strutture a ciò deputate che procedevano a strutturare l’offerta, e che la firma del responsabile commerciale per l’acquisto doveva seguire la preventiva approvazione dell’apposito comitato. Anche questo rende assai poco credibile che la scelta di GM sia stata gestita dal dott. T.L. aggirando i protocolli e le verifiche di affidabilità deputati ad altri organi.

Sulla contestata consapevolezza del T.L. circa l’inadeguatezza della GM, poi, è in contrario emerso che tale società aveva già lavorato in precedenza per la La Soc. nell’ambito di un rapporto con il Ministero della Difesa per lavori afferenti alla connettività satellitare (dichiarazioni P. all’Avv. C. nella e-mail dell’8 novembre 2016, in cui si rappresenta che a quell’epoca il fornitore era stato presentato dalla direzione commerciale di La Soc., non emergendo affatto il nome del T.L.). Il teste L.M., dirigente responsabile commerciale di La Soc. in pensione dal 1.7.2022, ha precisato che gli operatori specializzati in connettività satellitare non erano molti e che già in precedenza GM era stata scelta, previa gara della quale egli stesso era stato responsabile facendo l’offerta e seguendo la gara, per tre connessioni satellitari su altrettanti siti per il Ministero della Difesa. È in atti (doc. 14 prodotto in primo grado dalla stessa società appellata) una offerta del servizio di connettività satellitare S-RIPA a standard DVB-RCS per il Ministero della Difesa relativamente alle sedi di Algeri, Bagdad, Beirut Belgrado, Malta e Abu Dhabi, risalente al 3 marzo 2014.

È interessante notare che il P. dichiarava tra l’altro nella e-mail scambiata con l’Avv. C.: “Quando La Soc. vinse la gara Lottomatica, chiedemmo una quotazione anche a Telespazio ma la quotazione era il doppio di GM. Chiesi a G., capo della progettazione, di guardarla e lui rispose che il prezzo non andava bene. Mi ricordo anche di aver avuto una telefonata con T.L. e L.M. in cui ho espostato [esposto] il fatto di aver chiesto quotazione ad altro fornitore e in quella sede L.M. mi disse che la GM non poteva essere toccata perché se avevamo vinto la commessa Lottomatica lo si doveva alla loro offerta. T.L. era presente in call ma non ha parlato.”.

Parimenti, non è emersa prova del fatto che l’appellante fosse a conoscenza dell’inadeguatezza della GM allo svolgimento dei servizi richiesti, mentre è pacifico che successivamente all’appalto Lottomatica GM ebbe anche altri lavori da La Soc..

Ancora, non è emersa prova che il dott. T.L. impose di accordare a GM delle condizioni di pagamento più favorevoli rispetto agli altri fornitori né che impartì disposizioni affinché i pagamenti dei compensi a tale fornitore avvenissero in via anticipata, ossia prima della fornitura dei servizi concordati. E il teste L.M. ha riferito alla Corte che in astratto determinati pagamenti avrebbero anche potuto essere concordati in momenti diversi rispetto alle ordinarie cadenze, per ragioni specifiche, e soprattutto che questi accordi erano competenza dell’ufficio acquisti.

Quanto alla contestazione di non avere il dott. T.L. informato il proprio diretto superiore gerarchico di essere cognato di SC., rappresentante della GM, va evidenziato che il fatto idoneo a concretizzare un conflitto di interessi era indicato in un rapporto di parentela specifico, qualificato già nell’intervista al F.R. del 29 settembre 2016, come di brother in law. Non ha dunque pregio il tentativo della società di guadagnare alla contestazione, una volta emerso in giudizio che il SC. è solo un cugino della moglie, la rilevanza di una parentela anche più lata, a pena di immutare la contestazione e violare anche il diritto di difesa del lavoratore (misurabile sui termini specifici della contestazione e implicante anche sotto tale profilo una scelta difensiva in ipotesi irreversibile e vanificabile in caso di immutazione del fatto). Sotto altro aspetto, va evidenziato che la norma del codice di comportamento esemplifica, sintomaticamente, un estremo del conflitto di interessi nella “partecipazione finanziaria o commerciale nell’impresa fornitrice”, laddove nella presente fattispecie una tale partecipazione da parte del SC. Stefano non è affatto emersa. Anzi, nella correzione delle dichiarazioni rilasciate dal P. all’Avv C., il primo cancellava espressamente la circostanza secondo cui il nome del SC. Stefano figurava nella visura di GM Italia. Ed escusso sul punto dal Tribunale di Milano nel processo di cui si dirà oltre, il F.R. ha dichiarato: “Io non sono a conoscenza di relazioni dirette, se non di… se intende dire di… se non il fatto che al tempo sapevo che la moglie di T.L. si chiamava Cristina SC., e quindi c’era un cognome in comune. Però che ci fosse una relazione parentale tra i due non ho evidenza”.

Va soltanto aggiunto che, pur concedendo l’estensione dell’obbligo di informazioni consentita dal codice di comportamento, la modestia del legame di parentela tra il dott T.L. e il suo affine, da una parte, e l’affievolimento del possibile fattore di induzione al conflitto (mera dipendenza lavorativa dalla fornitrice del SC.), dall’altro, convergono nel destituire di fondamento l’ipotesi stessa contestata dal datore di lavoro, atteso che per tali ragioni il dott. T.L. non doveva rappresentarsi e comunicare un conflitto di interessi.

La responsabilità del T.L. in ordine al fatto contestatogli sub a) della missiva del 24 ottobre 2016 non è avallato neppure dall’esito del giudizio penale svoltosi innanzi al Tribunale di Milano e definito con sentenza del 25.1.2024, dal quale emergono anzi una serie di elementi che sconfessano l’impianto accusatorio del disciplinare.

Il capo di imputazione per frode nella pubblica fornitura del servizio di accesso al servizio automatizzato del gioco del Lotto, posto a gara da Sed Multitel S.r.l., società controllata dal concessionario Lottomatica spa, imputava al T.L. in veste di Country Sales Director il concorso in una complessa frode alla quale avrebbero partecipato, secondo il capo di imputazione, il B.C. Responsabile della Enterprise Sales Direction di La Soc., la T.S. Chief Operational Officer di La Soc., il M.G. legale rappresentante della GM Consulting sarl e amministratore unico della GM Satcom S.r.l., il T.M. CFO della GM Consulting sarl e C.S. amministratore unico della Erreci Italia S.r.l. nonché referente tecnico di GM Consulting e GM Swatcom S.r.l.

L’imputazione ascrive al B. la sottoscrizione della lettera di intenti con GM Consulting nella consapevolezza del difetto di capacità commerciale della fornitrice, la prosecuzione del rapporto con il subfornitore GM Satcom all’insaputa del concessionario pubblico e l’effettuazione di pagamenti in modo difforme da quanto pattuito con GM Consulting. Il concorso del T.L. era limitato, in buona sostanza, al fatto di avere individuato GM Consulting sarl quale subfornitore di La Soc. essendo “legato” al C.

Dalla stessa accusa penale, validata dalla condanna, emerge dunque che non si appartenevano e non erano stati spesi dal T.L. gli atti dispositivi più rilevanti addebitatigli nella contestazione disciplinare, riferibili invece ad altri. Restava addebitata, e confermata anch’essa dalla condanna (non ancora coperta da giudicato), al dott T.L., sul piano penale, l’individuazione del subfornitore e il legame con il SC., fatti in relazione ai quali si è già motivata l’irrilevanza sul piano disciplinare, non potendosi trascurare che tali condotte non erano state avvinte, nella contestazione disciplinare, dal disvalore e dalla funzione significate dalla imputazione penale, bensì quali singole e frammentarie violazioni degli obblighi incombenti sul lavoratore, a proposito dei quali si è già detto. Ciò riscontra ulteriormente la necessità di tenere distinti il profilo penale da quello disciplinare, e rassicura sulla conformità al diritto di un giudizio esente da pregiudiziali penali, come noto tendenzialmente escluse, oramai, dall’ordinamento processuale. Andrebbe semmai considerato che, anche soltanto leggendo l’imponente impalcatura accusatoria che ha portato sub iudice una serie di reati molto articolata, l’ultimo capo di imputazione riferito a persone fisiche, coinvolgente il T.L., sembra quasi un’appendice di un contesto criminoso ben più ampio integrato da una costellazione di imputazione mosse a carico di numerosi altri dipendenti per false comunicazioni sociali, false comunicazioni nella revisione legale ed emissioni di fatture per operazioni inesistenti. Con la “chiusa” finale, non insignificante, dell’imputazione alla La Soc. Spa dell’illecito di cui agli artt. 5 e 25-ter d.lgs. 231/2001, per avere adottato un modello di organizzazione e gestione e controllo carente.

E ancora non basta tutto ciò, perché nel dibattimento penale il F.R. ha rilasciato dichiarazioni che smentiscono ulteriormente l’addebito disciplinare elevato a carico del dott. T.L..

Il F.R. ha dichiarato, sia pure in relazione ai fatti di rilievo nel processo penale, che chi coordinava tutta l’attività era la parte di bid management, che coordinava tutte le aree all’interno dell’azienda per vedere la fattibilità o meno dell’operazione; che bid manager al tempo era R.B., mentre la parte di progettazione probabilmente risaliva a E. V., sotto il gruppo di G.; che la verifica tecnica e di compatibilità dei fornitori avveniva solo una volta vinta la gara; che il contratto venne firmato dal C.; che fu fatto un progetto esecutivo dalla parte di progettazione; che in quel contesto generalmente si crea un gruppo di lavoro che prevede l’assegnazione di un Project Manager per la parte del delivery, e un contract manager, che sul cliente era già assegnato nella persona di S.G. e probabilmente M.L. gestiva la parte di delivery; che la selezione del fornitore fu fatta da un gruppo di lavoro in La Soc. che gestiva i fornitori esterni, in quel caso, telecomunicazioni; che il caso volle che la stessa R.B., che aveva fatto da bid manager in fase di scrittura dell’offerta, nel frattempo era passata in quest’altro gruppo di lavoro, che era sotto M.P., che si occupava dei rapporti con i fornitori più legati alla parte di telecomunicazione; che la dipendente Fancello, che lavorava con lui, gli aveva detto che con Giustizia o Affari Esteri già esistevano dei servizi in piedi con GM; che ci fu una riunione prima di fare l’offerta nella quale c’erano il bid manager, quindi R.B., E. V. come progettazione, G. sempre come capo della progettazione, il capo della B. come capo dei bid manager, e T.L. al quale era stata data la procura per firmare i documenti di gara; che qualche giorno prima della riunione era stata fatta una nota informativa da Rita Fancello alla parte legal, quindi che si occupava delle gare, per poter procedere con l’emissione di questa procura speciale, considerando che in pratica non vi erano altre persone con procure per una quota superiore ai 10 milioni, necessarie per poter firmare direttamente quella gara; che gli accordi furono gestiti direttamente dal gruppo di lavoro di B-P.; che i rapporti con GM erano sempre gestiti dal gruppo di P.; che tutta l’interlocuzione con il fornitore venne effettuata dal gruppo di M.P.. E il P., nota questa Corte, è una delle persone che rilasciarono le dichiarazioni riservate agli investigatori.

Queste e altre analoghe dichiarazioni rese dal F.R. nel processo penale sconfessano ulteriormente la tesi suggerita dalla contestazione disciplinare a carico del T.L..

Anche in relazione alla seconda contestazione, non sono emersi i riscontri della dazione di denaro al dott. T.L. da parte del C.F..

Il C.F. era stato dipendente della La Soc. ed era poi passato a lavorare per una società intestata alla moglie, anche attraverso un contratto di agenzia con clienti che in passato erano stati in carico a La Soc.

Anche a questo proposito, non può assegnarsi valore probatorio ai “verbali” formati dalla La Soc..

Unica fonte valida avrebbe potuto essere la rappresentazione del F.R., ma questi, in dibattimento, non ha affatto confermato l’episodio, così come non l’ha confermato il diretto interessato Massimo C.F..

Le dichiarazioni rese in dibattimento dal F.R. non hanno confermato neppure la tesi secondo cui sarebbe stato il dott. T.L. ad attivarsi per favorire il contratto di agenzia con la società della moglie del C.F. e per farvi confluire i clienti della p.a. già gestiti da quest’ultimo durante il suo rapporto di lavoro. Il C.F. ha anzi riferito che non fu solo il T.L. ma diversi dirigenti ad esprime preoccupazione per la gestione del business clienti p.a. dopo la sua uscita da La Soc., e che non fu il T.L. bensì il capo dell’area Small e Medium Business a sollecitare l’instaurazione di un rapporto di agenzia con l’agenzia della propria moglie, al fine di favorire la continuazione della gestione dei clienti della p.a. locale ed evitare la dispersione di tale clientela, precisando che La Soc. non avrebbe avuto il know how per gestire tali clienti.

Ad ogni modo, le dichiarazioni rese in dibattimento dal F.R. non hanno riscontrato l’addebito relativo alle vicende C.F., risolvendosi in una sequela di “non so”, “non ho idea”, “non ricordo”, oppure in parziali o dubitative conferme di circostanze non probanti, mentre il C.F., in dibattimento, ha recisamente negato la richiesta di denaro da parte del dott. T.L. e la dazione della somma all’appellante. Il C.F. ha solo confermato di essersi recato varie volte in La Soc. successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, ma inducendo una ragione tutt’altro che inverosimile, cioè aiutare a risolvere talune problematiche poste da nuovi e vecchi clienti, cosa assolutamente comprensibile nella prospettiva di mantenere una buona immagine e dei buoni rapporti in un mercato propizio, a nulla rilevando il revolving doors del C.F. dal momento che un’ipotesi di tal fatta non è stata contestata al dott. T.L..

Va soltanto precisato che tra le dichiarazioni rese dal F.R. agli investigatori della La Soc. (che in parte veicolano, quanto al prelievo del contante e alle sue motivazioni, circostanze apprese de relato dal C.F. il quale però ha smentito i fatti in giudizio) e le mancate conferme del F.R. innanzi alla Corte, non possono essere preferite le prime, sia per le differenti sedi in cui le diverse dichiarazioni sono state raccolte, sia perché le prime potrebbero essere state rese per sottostanti ragioni “opportunistiche” di cui l’appellante non ha temuto di avanzare il sospetto con l’allegazione non confutata secondo cui “il F.R., precedentemente in difficoltà, è stato miracolosamente promosso” (pag. 52 appello).

Insomma, nessuna dichiarazione raccolta in sede giudiziale, l’unica sede sufficientemente garantita, ha consentito di riscontrare i fatti addebitati al T.L. sub b) dell’incolpazione disciplinare.

Tutto quanto sin qui detto induce a ritenere che la La Soc. spa, a fronte della decisa contestazione dei fatti da parte dell’appellante, non abbia fornito in giudizio idonea prova di tali fatti. Va peraltro aggiunto che, come emerge da quanto si è detto sopra, già in sede disciplinare non emergevano elementi idonei a riscontrare l’accusa: il datore di lavoro non poteva ignorare la sua stessa complessa organizzazione ricordata dal F.R., che riduceva a zero la possibilità di ascrivere al T.L. pesanti ingerenze nella scelta del fornitore e nella gestione successiva del contratto. E ancor meno elementi emergevano, già in sede disciplinare, per ritenere la dazione del denaro al C.F., atteso che quest’ultimo neppure era stato sentito e le circostanze riferite al riguardo erano de relato. Erano semmai presenti, come manifesterebbe la stessa segnalazione anonima, elementi per indagare meglio sul “contesto”, come riprovato clamorosamente dall’imputazione penale. Tali circostanze, così come tutte le altre sopra indicate, si convertono, ad avviso di questa Corte, nella mancata dimostrazione, da parte del datore di lavoro, anche della semplice perdita di fiducia nel dirigente, risolvendosi nella mancanza di giustificatezza nel recesso. Altrimenti detto, non emergevano condotte ascrivibili al T.L. suscettibili di pregiudicare il rapporto di fiducia tra le parti, e tali da precludere le possibilità di valutare le condotte causative del recesso ai sensi della consolidata giurisprudenza di legittimità in materia di licenziamento del dirigente (Cass. S.U. 30 marzo 2007, n. 7880; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2553; Cass. 3 febbraio 2020, n. 2365).

Per tutto quanto precede, emerge dunque, ad avviso della Corte, non solo la obiettiva insussistenza delle condotte ascritte al dirigente, ma anche circostanze idonee a ritenere in via presuntiva la sussistenza di un pretesto per liberarsi del dott. T.L..

In conseguenza della ingiustificatezza del licenziamento, spetta all’appellante l’indennità supplementare prevista dall’art. 19 del CCNL per le aziende industriali applicabile ratione temporis, sulla base dell’anzianità posseduta dal dirigente al momento del recesso ingiustificato e in base alla retribuzione che il dirigente avrebbe percepito durante il periodo di mancato preavviso, in forza del combinato disposto degli artt. 19 e 23 del CCNL; retribuzione determinata dall’appellante in modo molto specifico e articolato sin dal primo grado (vedi ricorso di primo grado pagg 32 e 33 e appello pagg. 18 e 19) sino a giungere al medio lordo mensile di € 24.000,00, contestata in modo troppo generico dall’appellata a pagina 70 della memoria di costituzione ex art. 436 cpc (“si contestano i conteggi per determinare la mensilità utile perché artificiosamente gonfiati da controparte”). La Corte ritiene inoltre di stimare il numero delle mensilità sulle quali calcolare l’indennità in numero di 8, in considerazione dell’anzianità anagrafica e lavorativa del dott. T.L. (nato il 6 agosto 1956 e assunto da La Soc. nel gennaio 2008) oltre che dell’assoluta infondatezza delle contestazioni mosse dal datore di lavoro.

La mancanza del preavviso, e tutto quanto si è detto sopra in ordine all’ingiustificatezza del recesso, meritano infine all’appellante l’indennità di mancato preavviso (art. 23 CCNL), calcolata sulla base del già detto parametro retributivo e dell’anzianità del dirigente secondo le fasce indicate dal CCNL.

Sviluppando i predetti elementi di calcolo si perviene alle somme specificate in dispositivo.

Non può invece essere accolta la domanda riproposta dal dott. T.L. e finalizzata al risarcimento del danno professionale, d’immagine e biologico, per essere stato fatto apparire come un “compiacente e protervo raccomandatore di fornitori collusi e incapaci, nonché responsale di un atteggiamento truffaldino e corruttivo a danno dell’azienda”.

A tale proposito, va anzitutto rilevato che, così come l’azienda non può trarre sul piano retorico alcun vantaggio dal più grave contesto che ha caratterizzato la vicenda penale sopra richiamata, neppure il dott. T.L. può dolersi di una significanza così grave attribuendola alla contestazione disciplinare, che resta invece circoscritta a specifiche condotte poste in essere in violazione delle policy, delle procedure e dei codici etici e di comportamento della Società e del Gruppo La Soc., e non è oggettivamente percepibile nel più grave significato inteso dall’appellante.

In appello il dott T.L. ha piuttosto rimarcato (pag. 78) che il Tribunale non avrebbe còlto come “oggetto della domanda di risarcimento per ingiuriosità non fosse l’illegittimità del licenziamento, ma le sue modalità e il suo strepitus in relazione alla rilevanza penale di uno degli [?] gravità (per mesi il licenziamento del T.L. … è stato oggetto di numerosi articoli di stampa, citazioni in sentenze straniere ed emarginazione)”.

In primo luogo, va però evidenziato, quanto alle modalità del licenziamento, che la sola promozione del procedimento disciplinare non radica di per sé la responsabilità del datore di lavoro, anche nel caso in cui la responsabilità del lavoratore non venga riconosciuta in giudizio.

Sulle modalità del disciplinare, poi, altro è il mancato chiarimento da parte del datore di lavoro di tutti i passaggi e dei tempi impiegati, come si è rilevato sopra, altro la valenza di tale deficit in termini di prova di un licenziamento ingiurioso.

In effetti, le modalità del licenziamento, ferme restando le carenze di cui si è più volte dato atto, non integrano di per sé delle modalità ingiuriose.

D’altra parte, a bene vedere, la lamentata lesione dell’immagine ed anche lo strepitus denunziati dal dott. T.L. risultando di fatto annesse all’atto risolutivo in sè – letto nei termini non condivisibili di cui si è appena detto – piuttosto che a specifiche connotazioni di per sè ingiuriose dell’atto e del procedimento.

Neppure la ctu, al netto dei rilievi cui ha dato luogo ed escludendo peraltro una patologia cardiaca ulteriore insorta dopo lo stress da licenziamento, ha potuto illuminare elementi medico-legali idonei a percorrere l’ipotesi di un danno risarcibile, assorbibili ormai nel giudizio conclusivo appena espresso, che, all’esito di una riconsiderazione complessiva dell’intera vicenda, esclude in radice lo stesso fatto illecito.

Si aggiunge infine, quale ulteriore e alternativa ragione di rigetto della domanda risarcitoria – per quanto riguarda il profilo del danno non patrimoniale alla professionalità e all’immagine -, che il danno alla professionalità è stato allegato in modo troppo generico e non è assistito da allegazioni idonee a comprovarlo. Mentre, per quanto attiene alla lesione dell’immagine, va rilevato che questa non può ritenersi in re ipsa, e non è stato dimostrato nè che il datore di lavoro abbia divulgato le ragioni poste a base del recesso “a terzi che avrebbero richiesto referenze del T.L.” (come dedotto a pag. 34 del ricorso di primo grado e non più riproposto in appello), nè che, anche ammessa l’effettiva circolazione di stralci della vicenda sulla stampa o in sedi giudiziarie, l’immagine del T.L. abbia concretamente ricevuto sostanziale nocumento.

Tutto quanto sin qui detto assorbe ogni altro profilo critico sollevato dalle parti e induce al parziale accoglimento dell’appello.

L’accoglimento soltanto parziale della domanda dell’appellante e la reciproca soccombenza delle parti inducono a compensare per metà le spese di lite del doppio grado, ponendo le residue a carico della La Soc. spa, nella misura indicata in dispositivo. Le spese di ctu, già liquidate con separato atto, vanno poste l’intero e in solido a carico di ciascuna delle parti nei confronti del ctu e nella misura del 50% ciascuna nei rapporti interni.

P.Q.M.

in parziale accoglimento dell’appello e in parziale riforma dell’impugnata sentenza, nel resto confermata, accerta il difetto di giustificazione e di giusta causa del licenziamento intimato all’appellante con lettera datata 7 novembre 2016, e condanna l’appellata al pagamento in favore dell’appellante dell’indennità di mancato preavviso pari ad € 192.000,00 lordi nonché dell’indennità supplementare pari ad € 192.000,00 lordi, il tutto oltre interessi e rivalutazione dal dì della maturazione del diritto al saldo.

Compensa per metà le spese di lite del doppio grado e pone le residue a carico della La Soc. spa, per l’intero determinate in € 14.000,00 per compensi per il primo grado e in € 15.000,00 per compensi per il grado di appello, il tutto oltre spese generali al 15 %, iva e cpa.

Pone le spese di ctu per l’intero e in solido a carico di ciascuna delle parti nei confronti del ctu e nella misura del 50% ciascuna nei rapporti interni.

Roma, 7 febbraio 2024

Il Consigliere estensore Il Presidente

Dott. Vincenzo Turco Dott. Stefano Scarafoni